Un'altra guarigione, attribuita a Padre Pio, fu considerata un prodigio permanente, riguarda un ex ferroviere toscano, morto nel 1983, a settanta anni. "Sono una sfida vivente alle leggi fisiche" - ripeteva l'uomo.
Nel 1945 viveva in provincia di Siena. Era sposato e aveva un figlio piccolo. Lavorava come sorvegliante degli impianti elettrici di una linea ferroviaria. La mattina del 21 maggio, mentre si recava al lavoro in motocicletta, venne travolto da un camion. Arrivò all'ospedale in fin di vita. I medici gli riscontrarono una frattura al cranio, una frattura all'arco sopraccigliare sinistro, la rottura del timpano sinistro, la frattura di alcune costole e cinque fratture alla gamba sinistra. Rimase tra la vita e la morte per diversi giorni, poi venne dichiarato fuori pericolo. La ripresa fu lunga ma soddisfacente, tranne che per la gamba. Era così mal ridotta che i medici non riuscivano a metterla a posto. Passava da un ospedale all'altro. "Fui ricoverato alla Clinica ortopedica di Siena dove rimasi in cura per un anno e mezzo. Poi andai al Rizzoli di Bologna. Dopo i primi interventi le fratture al femore erano state parzialmente sanate ma a causa di una serie di complicazioni, la gamba era completamente rigida. I medici parlavano di "anchilosi fibrosa del ginocchio sinistro" e non riuscivano a guarirmi. Inoltre le ferite provocate dai numerosi interventi chirurgici non si rimarginavano.
Poiché tutti i tentativi di piegare la gamba erano risultati inutili, i medici della Clinica ortopedica di Siena decisero di tentare la "flessione forzata del ginocchio su apparecchio di Zuppinger in anestesia generale. Ma le aderenze muscolari e i legamenti che bloccavano l'articolazione erano così resistenti che anche quell'intervento risultò inutile. Anzi, quando i medici insistettero con maggior forza, si spezzò nuovamente il femore e dovetti restare altri due mesi con la gamba ingessata. All'inizio del 1948 fui dimesso dalla Clinica ortopedica di Siena e dichiarato inguaribile. Avrei dovuto restare con la gamba rigida per tutto il resto della mia vita. Avevo trentacinque anni e non riuscivo a rassegnarmi. Decisi perciò di tentare ancora presso altri specialisti ma le speranze di successo risultarono essere pochissime e quindi non me la sentii di affrontare un nuovo intervento. Ero demoralizzato e cattivo come una bestia ferita. Non volevo vedere nessuno. Non volevo più vivere. Sfogavo tutto il mio dolore contro mia moglie che tentava di farmi coraggio. Per muovermi adoperavo le stampelle, ma riuscivo a trascinarmi solo per pochi metri perché la gamba, oltre che essere rigida, era ancora piena di ferite sanguinanti e dolorosissime. Spesso, volevo fare da solo, cadevo e allora urlavo con tutta la mia rabbia, bestemmiando contro Dio e contro tutti. Mia moglie era credente, io no. Lei andava in chiesa e io la rimproveravo. Bestemmiavo per farle dispetto e lei piangeva.
Un giorno nella nostra parrocchia venne un religioso a tenere delle conferenze. Venuto a conoscenza del mio caso volle parlare con mia moglie per confortarla: "Perché non porta suo marito a San Giovanni Rotondo da Padre Pio, un cappuccino che fa miracoli?" Mia moglie mi riferì quelle parole con tanta speranza ma io scoppia in una ironica risata, pronunciando bestemmie e improperi anche contro Padre Pio. Mia moglie non volle lasciar perdere quella possibilità e scrisse tante volte al religioso, ma non ricevette mai risposta. Allora riprese a parlarmene e a chiedermi di accontentarla. La mia situazione andava sempre peggio. Mi resi conto che per me la vita era finita. La forza della disperazione ebbe il sopravvento. Verso la fine dell'anno mi arresi. "Va bene" - dissi a mia moglie - "proviamo anche questo". Il viaggio fu drammatico. In treno ero disteso su una barella, ma quando dovevo salire e scendere dallo scompartimento i dolori erano atroci. La prima tappa fu Roma, la seconda Foggia. Per raggiungere San Giovanni Rotondo c'era un solo pullman e partiva al mattino presto. Decidemmo di trascorrere la notte in una pensione. Mentre mi trascinavo con le stampelle scivolai in una pozzanghera, cadendo malamente. Fui soccorso dai dipendenti delle ferrovie, i quali saputo che ero un loro collega mi misero a disposizione una stanza negli uffici della stazione e lì passai la notte. Il mattino presto, io, mio figlio e mia moglie prendemmo il pullman per San Giovanni Rotondo. Il pullman si fermava a circa due chilometri dalla chiesetta dei cappuccini. Le strade non erano asfaltate. Non so come riuscii a raggiungere la chiesa. Appena entrato, mi accasciai su una panca mezzo svenuto. Non avevo mai visto una fotografia di Padre Pio, quindi non sapevo riconoscerlo. In chiesa c'erano diversi cappuccini. Vicino a me ce n'era uno che stava confessando le donne. La tendina, che serve a nascondere il confessore, era aperta. Il frate teneva gli occhi bassi e le mani nascoste nelle maniche della tonaca. Quando alzò la destra per dare l'assoluzione mi accorsi che portava i mezzi guanti. "E' lui" - dissi a me stesso. In quell'istante Padre Pio alzò gli occhi e mi fissò per un paio di secondi. Sotto quello sguardo il mio corpo cominciò a tremare, come se fosse stato colpito da una violenta scossa elettrica. Dopo alcuni minuti il padre uscì dal confessionale e se ne andò. Alle quattro del pomeriggio eravamo di nuovo in chiesa. Mio figlio mi accompagnò in sagrestia. Padre Pio stava già confessando. C'erano alcune persone prima di me. Dopo circa un quarto d'ora arrivò il mio turno. Puntellandomi sulle stampelle, mi avvicinai al religioso. Tentai di dire qualcosa, ma lui non me ne diede il tempo. Cominciò a parlare tracciando un quadro perfetto della mia vita, del mio carattere, del mio comportamento. Ero completamente rapito dalle sue parole e non pensavo più alla gamba. Quando il Padre alzò la mano per darmi l'assoluzione, provai di nuovo la terribile scossa in tutto il corpo che avevo sentito la mattina. Senza accorgermi mi inginocchiai e feci il segno della croce. Poi, sempre senza pensare alla gamba, mi alzai, presi le stampelle in mano e mi allontanai camminando regolarmente. Tutto questo lo facevo in moto del tutto normale. Mia moglie che era in chiesa, mi vide arrivare con le stampelle in mano, ma neanche lei ci fece caso. Mi disse solo: "Che bella faccia serena che hai!" Ci fermammo a pregare un pò, poi ci avviammo all'uscita. Solo a questo punto mia moglie si rese conto di quello che era accaduto: "Giuseppe, ma tu cammini" disse. Mi fermai ed osservai con immenso stupore le stampelle che avevo in mano. "E' vero, cammino e non sento nessun dolore" risposi. "Papà" - aggiunse mio figlio - "quando eri da Padre Pio ti sei anche inginocchiato". Potevo fare quei movimenti con la massima naturalezza, senza nessun dolore e difficoltà. Mi tolsi i pantaloni ed esaminai le gambe: tutte le ferite, che fino a poco prima erano doloranti e sanguinanti, si erano rimarginate. Ora si vedevano solo delle cicatrici perfettamente asciutte. "Sono veramente guarito!" - gridai a mia moglie e scoppiai a piangere. Il ritorno a casa fu una marcia trionfale. Ovunque mi fermassi raccontavo quanto mi era accaduto. Tornai a farmi visitare alla Clinica ortopedica di Siena. I medici erano esterrefatti. Prima di tutto nel vedere che camminavo. E poi perché alle radiografie la mia gamba non era assolutamente cambiata. L'anchilosi fibrosa al ginocchio sinistro era sempre presente e non avrei potuto in nessun modo camminare. Il mio caso venne presentato anche a un congresso medico a Roma. Fui visitato da molti di quelli illustri specialisti che provenivano anche dall'estero, e tutti restarono meravigliati.